Moro, Berlinguer, il compromesso storico: fu solo una questione tra la NATO e l’URSS?

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Di Santi Maria Randazzo

Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle cosiddette Brigate Rosse hanno significato il punto di rottura determinato dalla politica italiana del dopoguerra, degli equilibri politici internazionali che avevano permesso e garantito, non senza fastidio e irritazione soprattutto da parte inglese, una seppur parziale capacità dell’Italia di superare i limiti che le erano stati imposti, quale nazione uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale dalle nazioni vincitrici. Tali limiti erano stati più volte superati soprattutto da Aldo Moro che, con la collaborazione di Enrico Berlinguer, li avevano ripetutamente e con chiara determinazione oltrepassati nell’intento di garantire l’interesse dell’Italia.

Le innumerevoli indagini e le ipotesi che sono state avanzata per individuare le vere ragioni ed i veri mandanti della eliminazione fisica di Aldo Moro hanno prodotto una serie infinita di sentenze, relazioni, pubblicazioni di libri e articoli, in parte pubblicati con intenti disinformativi, che offrono un ampio quadro informativo che, seppur intossicato da certa controinformazione interessata a sviare la ricerca della verità, rendono sufficientemente visibili le motivazioni per cui Aldo Moro, e proprio lui, doveva essere eliminato dopo che era fallito l’attentato a Berlinguer a Sofia nel 1973, che era stato individuato come il primo obiettivo da colpire per bloccare il compromesso storico in Italia. Prima di analizzare una serie di eventi che sono stati in parte determinati dalla volontà e dalla capacità politica di Aldo Moro di tutelare gli interessi italiani, a rischio di camminare su una lama di rasoio, ci sembra interessante riportare ciò che sibillinamente disse Giulio Andreotti allorché gli venne posta la domanda in quale contesto si dovesse inquadrare l’assassinio di Aldo Moro, a cui rispose così: “Ogni paese ha i propri vicini. A noi sono capitati i peggiori.” (1)

Aldo Moro, Alcide De Gasperi ed Enrico Mattei furono alcuni dei componenti del ristretto gruppo di uomini che, nell’immediato dopoguerra, hanno saputo immaginare ed attuare una efficace politica strategicamente volta a promuovere il progresso della nazione e a portare l’Italia fuori dalle pastoie del trattato di pace del 1947; condizione che rendeva l’Italia politicamente sottomessa alle nazioni vincitrici della seconda guerra mondiale ed il cui “controllo” sulle sue scelte politico-economiche era stato affidato all’Inghilterra che ne aveva richiesto espressamente il mandato per tutelare i suoi interessi politico-energetici nell’area del Mediterraneo, attesa la posizione assolutamente strategica dell’Italia in tale area. Sin dall’indomani del trattato del 1947 la decisa azione politico-governativa di Alcide De Gasperi, volta a tutelare gli interessi nazionali specie in ambito energetico, attuata successivamente con la creazione dell’ENI, irritò fortemente l’Inghilterra che, secondo la ricostruzione che fa di quegli eventi Giovanni Fasanella, più volte e spinse i servizi segreti inglesi a realizzare “operazioni sporche” e ad architettare la produzione di una documentazione falsa al fine di costringere De Gasperi alle dimissioni; avvenute poi nell’estate del 1953. I documenti che Fasanella afferma essere stati costruiti ad arte dai servizi segreti inglesi e che riguardano questa vicenda sono stati pubblicati da Giovanni Fasanella nel suo libro “Il Puzzle Moro”, dove viene documentato come furono costruite le lettere, datate al 1944, che vennero attribuite a De Gasperi e con le quali lo si indicava come l’autore di richieste alle forze alleate perché bombardassero Roma, al fine di provocare così la reazione antitedesca della popolazione. (2)

Per gli effetti politici dello scandalo artatamente costruito che ne seguì, De Gasperi fu costretto alle dimissioni, anche se la sua eliminazione dalla scena politica non rallentò comunque la politica mediterranea dell’Italia, sostenuta con continuità da Segni, Mattei, Moro e Fanfani e dalla fine degli anni ’60 anche da Berlinguer. Sulla vicenda delle lettere di De Gasperi di cui sopra Stefania Limiti non dà per certo che le due lettere attribuite a De Gasperi fossero certamente false. Nel ricostruire la vicenda la Limiti indica nella parte dell’archivio personale di Mussolini nascosto in Svizzera la fonte originaria delle missive che, pervenute, in copia fotografica, nelle mani di Giovannino Guareschi tramite Enrico De Toma, furono pubblicate sul “Candido”; la pubblicazione di tali lettere aveva provocato una condanna per diffamazione a Guareschi nonostante, sottolinea la Limiti, il perito calligrafico le avesse attribuite alla mano di De Gasperi: (3)

All’indomani della seconda guerra mondiale l’Italia privata del suo impero coloniale dalle nazioni vincitrici seppe intelligentemente trasformare questa privazione imposta in una condizione vincente di politica estera, facilitando enormemente il dialogo con il mondo mediorientale e africano volto ad a sostenere il proprio diritto all’indipendenza. Il ruolo di mediazione internazionale che l’Italia seppe assumere in quegli anni venne riconosciuto, ob torto collo, anche dagli USA nel 1956 dopo la crisi di Suez conseguente alla decisione di Nasser di nazionalizzare il Canale di Suez avvenne il tentativo autonomo anglo-francese di occupare militarmente tale Canale: decisione non condivisa dal governo americano che costrinse gli inglesi ed i francesi a retrocedere da tale iniziativa. L’operazione franco-inglese non era stata condivisa neanche dal governo italiano, a cui gli USA, per gli effetti politici internazionali che seguirono al tentativo franco-inglese di occupare il canale di Zuez, riconobbero un ruolo di mediazione nell’area del Mediterraneo. Sempre in quegli anni la progressiva affermazione industriale dell’ENI nell’ambito delle concessioni petrolifere in Medioriente e le intese con l’Unione Sovietica per le forniture di greggio a prezzi vantaggiosi, avevano irritato fortemente le grandi compagnie petrolifere ed in particolare l’Inghilterra che vedeva messi in pericolo i suoi interessi in ambito energetico, garantiti proprio dai giacimenti nell’area mediorientale. Nel nostro recente articolo sulla morte di Mattei abbiamo doviziosamente documentato i reiterati tentativi inglesi di porre un freno all’azione di Mattei che metteva a rischio gli interessi inglesi nel settore petrolifero e politico nell’area mediorientale. (4)

Mattei muore a Bescapè per un incidente aereo causato da un sabotaggio, come ha confermato l’indagine giudiziaria, il 27 ottobre 1962, lasciando sostanzialmente alla intelligenza ed alla capacità politica di Aldo Moro il compito di dare continuità ad una strategia politica volta a dare stabilità politica all’Italia e a tutelare gli interessi nazionali italiani in ambito internazionale; l’azione di Aldo Moro si sviluppò in un contesto ormai caratterizzato dalle logiche della guerra fredda tra la NATO e l’URSS; questa contrapposizione frontale tra i due blocchi di potere mondiali, mirante sostanzialmente a tutelare gli interessi delle due superpotenze nelle aree di rispettiva influenza, aveva determinato preclusioni politiche verso i partiti di sinistra a che entrassero nell’area di governo dei paesi che facevano parte dell’Alleanza Atlantica. All’inizio degli anni ’60 le necessità politiche italiane avevano fatto maturare l’opportunità di avviare un dialogo con il partito socialista e a tal fine Moro si rese protagonista nel 1963 di una iniziativa volta a formare un governo assieme ai Socialisti; tale iniziativa” […] aveva avuto l’avallo del presidente democratico degli Stati Uniti John Kennedy, ed era stata benedetta anche da papa Giovanni XXIII. Ma a Londra non era ben vista.” (5)

In questo scenario remoto si consolida in Inghilterra una diffidenza sempre maggiore nelle iniziative politiche di Aldo Moro che aveva anche il privilegio di essere assolutamente antipatico a Winston Churchill il quale nel 1963, con fare minaccioso, sostenne che: […] viste le novità maturate senza il suo permesso, il Regno Unito si sentiva esautorato di quel diritto di supervisione sull’Italia che aveva ottenuto dalle grandi potenze subito dopo la guerra.” (6) Durante questa fase le divergenze nelle valutazioni di opportunità politica tra USA e Inghilterra rispetto al sostegno al governo di centrosinistra nascevano da esigenze diverse. Per gli USA era più importante scollegare politicamente il PSI dal PCI per indebolire il collegamento dell’Italia all’URSS e per avvicinare il PSI a posizioni filoatlantiche; a tal fine gli USA, per integrare i finanziamenti che al PSI provenivano dal collegamento al PCI e che erano venuti meno, provvide a finanziare il PSI e specificatamente la corrente di Nenni, alternativa alla corrente di Lombardi, schierata su posizioni di collegamento con il PCI. (7)  per l’Inghilterra era più importante l’obiettivo di indebolire e rendere instabile la politica dell’Italia che, con Moro in particolare, costituiva una evidente e continua fonte di preoccupazioni politico-economico-energetiche soprattutto per l’Inghilterra.

All’inizio degli anni ’60 i risultati elettorali in Italia cominciano a denotare una preoccupante tendenza, agli occhi inglesi ed americani, che indicava un costante arretramento della DC e un progressivo avanzamento delle forze di sinistra, in particolare del PCI. I nuovi equilibri politici e le prospettive che si preannunciavano indussero intelligentemente Moro a realizzare una intesa di governo con i socialisti e, nonostante le manovre di contrasto messe in atto dagli inglesi, il suo governo si insedia il 5 dicembre 1963 provocando una nota di forte preoccupazione testimoniata da un messaggio dell’ambasciatore inglese Ward al Foreign Office. Fatto il governo la preoccupazione inglese veniva comunque mitigata dalla presenza di Giulio Andreotti al ministero della Difesa e di Taviani al ministero degli Interni, ritenuti amici dagli inglesi, anche se veniva ritenuta preoccupante la nomina di Giorgio Bo al ministero delle Partecipazioni Statali da cui dipendeva l’ENI. Nel contesto di quegli avvenimenti si realizza la definizione del “Piano Solo”, con l’avallo del Quirinale, e l’esasperazione del “Pericolo Comunista”, frutto della cosiddetta guerra psicologica. Il piano Solo vede come protagonisti essenziali il Capo dello Stato Segni, i vertici dell’Arma dei Carabinieri ed il Presidente del Senato Merzagora, chiaramente su posizioni filoinglesi; Merzagora politicamente organico con Edgardo Sogno su posizioni di estremo anticomunismo filoatlantico. La crisi di governo che porrà fine al primo governo di centrosinistra e le difficoltà che si riscontreranno per la formazione di un nuovo governo saranno comunque superate grazie alla capacità di mediazione politica di Aldo Moro. Le manovre inglesi, che non escludevano la possibilità di attuare un golpe in Italia e il tentativo di favorire l’elezione di Merzagora a Presidente della Repubblica daranno luogo ad un aspro confronto tra Segni, Moro, Saragat e Spadolini. I problemi di salute di Segni, che successivamente si dimise, portarono alla elezione di Saragat, eletto anche con i voti del PCI.

A metà degli anni ’60 mutò il clima internazionale influendo negativamente sul clima di distensione che aveva caratterizzato il confronto tra USA e Unione Sovietica, interessati ambedue a stabilire regole più certe per garantire i propri interessi nelle aree di rispettiva influenza. Il nuovo contesto internazionale produsse conseguentemente effetti anche in Italia dove lo scenario mutò. Nel timore di eventi non graditi le forze anticomuniste italiane, collegate ai servizi segreti inglesi, si riunirono a Roma nel maggio 1965 organizzando un convegno nell’Hotel Parco dei Principi, organizzato dall’Istituto di Studi Militari “Alberto Pollio, per predisporre un piano d’azione in funzione anticomunista che non escludeva l’attuazione di un golpe in Italia. (8) Aldo Moro si rese conto di ciò che si stava tramando ed appena poté operò nel 1966 la riorganizzazione di Gladio, affidandone il controllo a Francesco Cossiga che, a tal fine, venne nominato sottosegretario alla Difesa. Alla riorganizzazione di Gladio, che fino a quel momento era stata guidata dagli inglesi, segui l’affidamento del suo comando ai servizi italo-americani; contestualmente Moro provvide a nominare: “[…] suoi fedelissimi anche all’interno dei servizi segreti e nelle forze armate. In altre parole, dopo essersi ritagliato uno spazio di iniziativa autonoma nel Mediterraneo, il governo tentò di ‘ italianizzare’ gli apparati e la politica della sicurezza. Anche a costo di trasgredire a un altro dei diktat della dottrina Churchill enunciata nel 1945 al nunzio apostolico.” (9) La strategia di Moro nell’ambito della politica internazionale e all’interno della NATO trovava ragion d’essere, oltre che nel garantire gli interessi italiani, anche nella volontà di riscatto per l’umiliazione e per le limitazioni che l’Italia aveva dovuto subire con gli accordi di pace del 1947, soprattutto a causa dei veti inglesi, e non essendo stata ammessa inoltre, successivamente, nel gruppo delle grandi potenze titolate a decidere le strategie NATO, ufficialmente per le responsabilità italiane nella seconda guerra mondiale. Non può non rilevarsi come le stesse motivazioni non erano valse per la Germania che aveva ben più grandi responsabilità nello scoppio della seconda guerra mondiale, ma non per questo era stata esclusa dal novero delle grandi potenze che assieme a USA, Gran Bretagna e Francia formavano la cabina di regia della NATO.

L’occasione per tentare di far recuperare all’Italia un ruolo centrale nel Mediterraneo venne offerta a Moro dalla contestualità di due avvenimenti: la nomina di Manlio Brosio alla guida della NATO, a Bruxelles, e l’indipendenza ottenuta da Malta interessata a intese con l’Italia. Nel contesto degli eventi che caratterizzeranno soprattutto negli anni ’60, ’70 e ’80 l’eversione in Italia si configurerà come un organismo di raccordo con le politiche NATO in Italia in funzione anticomunista il cosiddetto “Noto Servizio”, altrimenti detto “Anello” a capo del quale vi era Adalberto Titta con collegamenti funzionali con il MAR (Movimento di azione rivoluzionaria) di Carlo Fumagalli. (10) Stefania Limiti ha cercato di mettere in luce il ruolo di questo “Servizio Segreto Parallelo” la cui paternità attribuisce al Capo di Stato Maggiore, Messe, e al generale Roatta, già capo dei servizi segreti di Mussolini, nella gestione del caso Moro, nel corso della quale Adalberto Titta, capo dell’Anello fino al 1981, ebbe modo di affermare, lo stesso giorno in cui veniva diffuso il comunicato n. 7 delle brigate rosse che indicava il Lago Della Duchessa il luogo in cui si trovava il cadavere di Moro, che il contenuto di tale comunicato era una “bufala”. (11) Rimane non del tutto chiaro il collegamento con il caso Moro delle trame riconducibili alla cosiddetta “Rosa dei Venti”, associabile alla NATO dal simbolo della stessa, appunto una rosa dei venti, i cui elementi di collegamento sono stati indicati nel libro “Dietro Tutte Le Trame” scritto da Giovanni Tamburino, il magistrato titolare dell’indagine su tale organizzazione. (12)

Alla necessità assolutamente strategica per Londra di mantenere le sue basi militari a Malta, Moro contrappose l’evidenza che solo l’Italia, nell’ambito del confronto militare, politico ed economico, poteva reggere il confronto con gli altri paesi del Mediterraneo: il tentativo di Moro di far assegnare all’Italia il comando delle forze alleate nel Mediterraneo venne energicamente contrastato dagli inglesi anche perché tale eventualità avrebbe indebolito ulteriormente la capacità del Regno Unito di tutelare i propri interessi nell’ambito petrolifero. In quegli anni la politica morotea in ambito internazionale ebbe un sostanziale, indiretto aiuto dall’emanazione dell’enciclica di Papa Paolo VI, la Populorum Progressio che, nel sottolineare il pericolo del neocolonialismo fra l’altro, affermava come: “Le potenze colonizzatrici hanno spesso avuto di mira soltanto il loro interesse […]” (13) I contrasti alla politica italiana da parte inglese, preoccupata di tutelare i propri interessi nel Mediterraneo e in Medioriente minacciati dalle posizioni italiane di apertura ai movimenti di liberazione nazionale, rimane una costante che pur limitando gli effetti positivi dell’azione del governo italiano, di fatto ispirata da Aldo Moro, non riesce ad impedirla. La perdurante efficacia della politica italiana nell’ambito del Mediterraneo continuò a produrre i suoi positivi effetti grazie soprattutto alla permanenza di Aldo Moro dal 1969 al 1974 al ministero degli Esteri ed alla Presidenza del Consiglio dal 1974 al 1976. Durante questo periodo l’Italia sperimenta la violenza di una lotta politica che darà vita ad organizzazioni come le BR, nel mentre la segreteria politica del PCI a cui assurge Enrico Berlinguer avvierà un confronto costruttivo finalizzato all’interesse nazionale proprio con Moro e che avvierà la stagione del Compromesso Storico: la politica del compromesso storico finirà, però, per scontare il limite di non aver compreso appieno le vere finalità della politica di distensione tra USA e URSS, di fatto miranti a garantire alle due superpotenze la possibilità condivisa di disciplinare e correggere eventuali tendenze disgreganti nei paesi sottoposti al loro controllo. Già dalla fine degli anni ’60 il procedere lento ma costante delle cosiddette “Convergenze Parallele” aveva messo in allarme il mondo politico italiano ed europeo: quello italiano temeva di rimanere schiacciato dall’alleanza DC – PCI che rischiava di occupare tutti gli spazi di potere a discapito degli altri partiti minori e in Europa, e non solo, si temeva l’ingresso del PCI nel governo atteso che ciò avrebbe comportato l’ingresso dei comunisti nella stanza dei bottoni della NATO. Nel nuovo clima di distensione l’eventuale ingresso del PCI nel governo era un evento non gradito alla stessa URSS, vincolata dal patto con gli USA di non interferenza nelle rispettive aree di influenza e diffidente rispetto al modello di comunismo interpretato dal PCI, preoccupata per la possibile fonte di contagio che poteva costituire per gli altri paesi sottoposti al controllo dell’URSS.

IL GOLPE LIBICO: IL PUNTO DI NON RITORNO NELLA DESTRUTTURAZIONE DEGLI EQUILIBRI GEOPOLITICI NEL MEDITERRANEO

Alla fine dell’estate del 1969 un evento realizzato grazie al supporto dell’intellighenzia politico-militare italiana toglie all’Inghilterra ogni possibilità di poter continuare a giocare un ruolo strategico politico-militare nel Mediterraneo e di garantire con sicurezza, in quell’area, i propri approvvigionamenti energetici e priva la NATO di importanti basi strategiche nel Nordafrica. Destituendo la monarchia libica filo britannica, Muammar Gheddafi, addestrato nelle accademie militari italiane, operò un colpo di stato in Libia preparato, secondo informative dei servizi segreti NATO che indicavano il concorso dell’ENI e dei servizi segreti italiani, in un albergo ad Abano Terme. A causa di questo golpe: “Le conseguenze per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna furono disastrose. […] Gheddafi chiuse la base americana di Wheeelus Field, la più grande del Mediterraneo, e le due britanniche nella Cirenaica, quelle di Adem e di Tobruq. Poi espropriò le compagnie petrolifere dei due paesi, la Standard Oil e la British Petroleum.” (14) All’indomani di questi eventi inizia in Italia una stagione di attentati e stragi inaugurata dalla strage di piazza Fontana a Milano, compiuta lo stesso giorno in cui gli Inglesi dovettero abbandonare le loro basi libiche in Cirenaica. La strage di piazza Fontana segnava l’inizio di un progetto eversivo che doveva essere realizzato da lì a poco ma, ironia della sorte, le stesse forze internazionali che fino a quel punto non avevano manifestato una chiara opposizione al progetto golpista che si stava preparando in Italia furono costrette, soprattutto gli USA, a considerare che, dopo il golpe libico, il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo era diventato essenziale per le strategie NATO: occorreva, pertanto, stabilizzare politicamente la situazione italiana. Non è improbabile che queste esigenze della NATO abbiano determinato la decisione del Presidente del Consiglio Italiano, Mariano Rumor, a non proclamare lo “stato d’emergenza”, bloccando di fatto l’operazione golpista “Tora Tora”. (15) L’attuazione dell’operazione “Tora Tora” sarà riavviata l’anno successivo l’otto dicembre 1970, con obiettivi politici diversi: viene bloccata all’ultimo momento dopo che era già stata saccheggiata l’armeria del Ministero dell’Interno, probabile obiettivo principale di quell’operazione.

La dinamica di questa operazione golpista non portata a termine è stata considerata come un forte messaggio di avvertimento per Aldo Moro a non proseguire nella sua politica di alleanza col PCI. Il 1970 fu anche l’anno in cui si registro l’attivismo di Edgardo Sogno che: “Nel 1970 riunì in una villa di Biuno, nella Brianza, alcuni suoi ex commilitoni della Franchi […] e in quell’occasione venne lanciato il manifesto della sua nuova organizzazione. I Comitati di resistenza democratica (Crd). Il loro obiettivo era impedire il dialogo tra Moro e Berlinguer ricorrendo a ‘ ogni mezzo’.” (16)  A quell’incontro partecipò il direttore della “Terrazza Martini” di Milano, Roberto Dotti, morto poi nel 1971, che avrà un ruolo primario nella storia delle Brigate Rosse assieme a Corrado Simioni. Che viene indicato come colui che inizialmente organizzò le brigate rosse e che al tempo era fidanzato con XXXXX…. Che era la segretaria di Manlio Brosio e che era in possesso dei pass di sicurezza ai più alti livelli NATO. Dotti sarà l’uomo a cui verranno consegnati i questionari redatti dagli aspiranti brigatisti rossi per essere esaminati. Sempre nel 1970 gli Inglesi, preoccupati per la posizione equidistante di Moro e dell’Italia sulla questione mediorientale, operano per isolare l’Italia nella NATO e per escluderla dalle decisioni strategiche nell’area del Mediterraneo, impedendole di partecipare ai summit tra USA, Gran Bretagna, Francia e Germania. Contestualmente gli inglesi operano a vari livelli per porre ostacoli alla collaborazione politica tra Moro e Berlinguer, considerando che la politica mediorientale perseguita da Moro, oltre che porre problemi per gli interessi inglesi nell’area mediterranea, diventavano un motivo di avvicinamento del PCI alla linea politica di Moro, le cui posizioni vengono classificate come filoarabe dai servizi di sicurezza inglesi. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, le preoccupazioni sovietiche per il compromesso storico che si stava realizzando in Italia, grazie all’intesa tra Moro e Berlinguer venivano ampliate dalle posizioni assunte da Berlinguer in ambito internazionale, atteso che aveva chiesto il ritiro delle truppe sovietiche dalla Cecoslovacchia e che aveva rifiutato la leadership dell’URSS nel movimento comunista internazionale. Di lì ad un anno i Sovietici, tramite il leader bulgaro Todor Zivkov, che invitò Berlinguer a Sofia nel 1973, fecero un ultimo tentativo per ricondurre Berlinguer alla linea sovietica. Dopo il rifiuto di Berlinguer di smentire le posizioni precedentemente prese avvenne l’incidente a Sofia causato da un camion militare che centrò l’auto su cui viaggiava Berlinguer: un attentato che stava per costare la vita al leader del PCI e che venne spiegato successivamente dal senatore Emanuele Macaluso nel 1991.

a Berlinguer, che probabilmente avvenne quale decisione conseguente alle responsabilità internazionali dell’URSS rispetto ai partiti comunisti del blocco occidentale, seguì un evento eversivo, la strage sul treno Italicus del 4 agosto 1974, che avrebbe potuto provocare la morte di Moro, così come si può desumere dalle informazioni fornite dalla figlia di Moro, Agnese, nel suo libro “Un uomo così”. (17) Agnese Moro riferisce che quel giorno, 4 agosto 1974, Aldo Moro era su quel treno ma fu fatto scendere con la scusa di dover firmare delle carte urgenti.

Prendendo a pretesto le posizioni assunte da Berlinguer, elementi di sinistra, con collegamenti internazionali, avviano una attività organizzativa che nasceva dalla volontà di dissociarsi dalla linea politica portata avanti da Berlinguer, richiamandosi alla ideologia marxista, arrivando poi a confluire in quelle che vennero definite le Brigate Rosse. Parallelamente altri personaggi attivavano iniziative, apparentemente contrapposte, che ufficialmente avevano l’obiettivo di impedire che i comunisti prendessero il potere in Italia. I personaggi cardine che hanno caratterizzato quella stagione politico-eversiva definita degli anni di piombo e che sugli opposti fronti possono essere individuati in Edgardo Sogno, Valerio Junio Borghese, Giangiacomo Feltrinelli, Vittorio Vidali, Corrado Simioni, Luigi Cavallo, Roberto Dotti, Renato Curcio, Toni Negri, Alberto Franceschini, Mara Cagol, Franco Piperno, Valerio Morucci, Adriana Faranda ed altri.                                                                                                     

Dopo il 1973 e la caduta del governo centrista di Andreotti, la segreteria della DC viene assunta da Fanfani che assieme a Moro marcarono la posizione filoaraba italiana in un contesto in cui si avvertivano gli effetti del golpe cileno, dell’impennata del prezzo del petrolio e delle negative conseguenze sulla bilancia dei pagamenti italiana. In questo contesto Berlinguer assume una posizione meno conflittuale con il governo annunciando una opposizione più conciliante. La posizione assunta dall’Italia rispetto al conflitto arabo-israeliano fece scattare fortissime preoccupazioni in Inghilterra, Francia e USA: in particolare negli USA il presidente Ford, succeduto al dimissionario Nixon, autorizzò Kissinger: “[…] a occuparsene personalmente [della questione italiana], confermandogli una sorta di delega in bianco. Con lo stesso obiettivo: fermare la crescita dell’influenza comunista e impedire al PCI di andare al governo.” (18) Le preoccupazioni per gli effetti della situazione italiana determinò nel 1974 USA, Gran Bretagna e Francia a costituire un direttorio segreto a quattro, assieme alla Germania per mettere in atto strategie comuni per fronteggiare il rischio comunista in Italia. In questo contesto e nel clima che artatamente lo caratterizzava le Brigate Rosse sequestrarono a Genova Mario Sossi: il magistrato che con le sue inchieste aveva smantellato la banda XXII ottobre. La storia di questo sequestro, il cui esito programmato non si realizzò solo per una non prevista decisione autonoma di Alberto Franceschini, conseguente ad una sua personale valutazione di opportunità politica che lo indusse a liberare il prigioniero contrariamente all’opinione di Mario Moretti, venne rielaborata successivamente dallo stesso Franceschini alla luce dell’evidenza che nel gruppo che aveva rapito Rossi era stato infiltrato un ex paracadutista da parte dell’ufficio Affari Riservati del ministero dell’interno. In una intervista rilasciata successivamente Franceschini ebbe a dire: “La storia delle Brigate Rosse non è soltanto la storia dell’organizzazione e dei suoi singoli militanti. Questo è un aspetto. L’altro, da cui non si può prescindere se si vuole un quadro completo, riguarda l’azione dello Stato nei nostri confronti: ci hanno combattuto quando serviva combatterci, ci hanno lasciato fare quando serviva che noi crescessimo.” (19)

Ancora nel 1976 le preoccupazioni USA nel rilevare l’allontanamento del PCI dalla linea di Mosca, con la proposizione di un comunismo dal volto umano, e il progressivo avvicinamento all’area di governo italiana erano motivate dalla convinzione che take strategia avrebbe favorito l’ingresso del PCI nel governo: tale evenienza avrebbe sicuramente portato l’Italia su una posizione neutralista rispetto alla contrapposizione internazionale Est-Ovest, alterando gli equilibri internazionali. L’enfatizzazione del pericolo comunista in Italia fu realizzata dai servizi segreti dei paesi NATO mediante operazioni di guerra psicologica che avevano l’obiettivo di creare uno stato d’ansia socio-politica collettiva che inducesse gli italiani a ritenere che si stessero correndo seri pericoli, inducendoli a percepire come giustificata la necessità di interventi da parte di ambienti esterni all’Italia per garantirne la sicurezza. Il 16 marzo 1978 in via Fani, a Roma, viene sequestrato Aldo Moro e, secondo la testimonianza di Franceschini, lo stesso infiltrato che aveva partecipato al rapimento del giudice Sossi, faceva parte del commando di 18 persone che rapì Moro: Francesco Marra. La scoperta del vero ruolo di tale soggetto da parte dei brigatisti avvenne successivamente allorché, dopo le vicende giudiziarie, era emerso che solo costui non era stato fatto oggetto delle inchieste giudiziarie che avevano riguardato il gruppo brigatista. (20)

Bibliografia

  1. Giovanni Fasanella – Il Puzzle Moro – Chiarelettere Editore – quinta ed., giugno 2018, p. 11.
  2. Giovanni Fasanella – cit., pp. 51-54.
  3. Stefania Limiti – L’Anello Della Repubblica – Chiarelettere Editore – Milano 2018, pp. 76-77.
  4. Santi Maria Randazzo – Financial Time 25 ottobre 1962:” Will signor Mattei have to go?” – La Voce dell’Isola, 25 ottobre 2022.
  5. Giovanni Fasanella – cit., p.59.
  6. G. Fasanella – cit., p.59.
  7. Stefania Limiti – cit., pp. 109-110.
  8. G. Fasanella – cit., p. 72.
  9. G. Fasanella – cit., p. 73.
  10. Stefania Limiti – cit.
  11. Stefania Limiti – cit., pp. 14-15.
  12. Giovanni Tamburino – Dietro Tutte Le Trame – Donzelli Editore – Roma 2022.
  13. G. Fasanella – cit., p. 85.
  14. G. Fasanella – cit., pp. 102-103.
  15. G. fasanella – cit., pp. 104-105.
  16. G. Fasanella – cit., p. 114.
  17. Agnese Moro – Un uomo così – Rizzoli – Milano, 2008.
  18. G. Fasanella – cit., p. 172.
  19. G. Fasanella – cit., p. 185.
  20. G. Fasanella – cit., p. 185.
  21.  

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